Gerusalemme secondo Pilar

“Tornata in ufficio, la domanda di rigore da amici e colleghi è ovvia: “Allora, com’è andata, cosa hai visto, che hai fatto?” La risposta un po’ meno: “niente di che!”… Più che altro mi sono rilassata, anche mentalmente fino al punto d’aver sentito un’apertura interna, un cambiamento di percezione dagli stimoli che mi circondano, verso il mondo intorno a me (non è una pubblicità della Vodafone!).

È difficile riassumere in poche linee quanto ho vissuto. Sarà stato il viaggio in treno fino ad Acco per partecipare a una “tenda per la pace”, un incontro fra arabi e ebrei per proporre delle nuove idee dopo gli scontri delle ultime settimane. Un’incantevole cittadina di mare nettamente divisa fra le due comunità dove il padrone dell’ostello parla delle persone coinvolte nell’evento come quegli della “peace”, come se usando la parola in inglese facesse capire che è una cosa estranea a lui.

Sarà stata l’intensità di un pomeriggio marcato da una parata con persone di tutto il mondo per festeggiare i 60 anni della nascita d’Israele e quando il gruppo di tedeschi passa sventolando la loro bandiera, un bambino accanto a noi grida “Germania, vai al inferno” – c’è tanto da pensare su questa rabbia ereditata.

Sara’ stata la passeggiata a Me’a She’arim. Appena entrati in questo quartiere ultraortodosso, sotto il cartellone che avverte ai turisti di non fotografare e di vestirsi in modo “modesto”, sotto le note di una vecchia canzone proveniente da una radio lontana, bisogna fermarsi per un attimo per capire che non si stia sognando. Sembra di aver fatto un salto nel tempo, la Polonia del XVIII secolo, uomini con capotti neri lucidi e cappelli tondi, famiglie numerosissime (seppure le statistiche dicono che il numero medio di figli è sceso da 9 a 8!) tutti vestiti uguali, dove a volte e’ difficile capire la differenza d’età fra il figlio più grande e la mamma. Come sarà vivere questa religiosità ogni attimo della tua vita, di fronte a un mondo così diverso dall’altra parte della strada?

Tutto quanto ho visto e le sensazione sperimentate mi hanno influenzato profondamente… un pranzo d’amici religiosi (che non ti danno la mano quando ti presenti perché sei donna e loro religiosi); cominciare ad interpretare il linguaggio del corpo quando la lingua è un ostacolo (imparare a dire “non vedi che non capisco una mazza” ai camerieri è fondamentale però!); i canti dello shabbat, la vita quotidiana a Nahlaot, un incontro con il Sangha [una comunità buddista] e l’apprendimento del termine “aimlessness“, gli odori, i sentimenti, le sukkòt [le capanne della festa di capanne], i sapori… questo viaggio mi ha cambiata, mi sento serena, più in contatto con il mondo e con me stessa… sarà la carica emotiva degli eventi descritti? la spiritualità di Gerusalemme o forse i waffle di Babette? Chi lo sa!”

Gerusalemme città intensa

Israele è un paese con una certa intensità e Gerusalemme ancora di più. Sono arrivato venerdì mattina e ovviamente la nuova casa aveva bisogno di arredamento e di pulizia. Vado allo sciuc insieme al nuovo inquilino (romano, così non dimentico un bel gnente) a comprarci della roba. Ogni persona che vendeva o che comprava, ogni persona in macchina o che passava camminando aveva un senso di urgenza. I clacson suonavano, i venditori annunciavano i prezzi dei loro prodotti e gli altri sembravano tutti giocatori di football americano cercando nella folla qualsiasi apertura per infilarsi a continuare i loro percorsi. Fatta la spesa e torniamo a casa a sistema’.

Poi la sirena. Il tono ha durato un minuto intero e improvvisamente una magia è scesa sulle strade, sulle case, sulle persone. E’ arrivata la Shabbat con il suo silenzio e la sua tranquillità. Gli odori di tante cene pian piano aleggiavano dalle finestre, i suoni dei canti uscivano dalle piccole sinagoghe, le strade e i vicoletti restavano deserti e potevano respirare. Ventiquattro ore senza autobus, con poche macchine, poca gente in giro e tanta pace.

E domenica ricominciamo.

Mi sento come se fosse in qualche fiaba. E’ difficile credere che sia vera quest’ambiente, quest’intensità che pervade tutto, per bene e per male, quest’aria che opprime e che esalta.

Qui faccio una passeggiata nel rione Nahlaòt.

Supereroe

Un pomeriggio rilassante di dolce-far-niente accanto alla piscina. Uno spicchio del Colosseo visibile tra gli alberi, illuminato giallo e rosso non per spolitica ma dalla luce splendida del sole romano.

Un amico racconta di aver visto Il Cavaliere Oscuro, pensava che fosse un tributo al primo ministro e futuro papa. Invece no, è l’ennesima versione di Batman. Più dark, più cinico, permeato d’ansia e d’angoscia. “Voglio un supereroe che è un eroe …” pareva di dire, “purtroppo anche in Spiderman 3 il supereroe è scuro.”

Non so se lo andrò a vedere perchè ultimamente cerco di rafforzare la felicità e la fiducia invece dell’ansia, ma l’umanizzare un eroe non mi sembra una cattiva idea. Come diceva Sam Reimi, regista di Spiderman 3:

La cosa più importante che Peter debba imparare è che questo concetto di lui come il vendicatore o lui come l’eroe, si veste un completo rosso e blu, con ogni criminale che porta a giustizia sta cercando di restituire un debito di colpa che sente per la morte dello zio Ben. Lui si considera un eroe e senza peccato contro questi cattivi che becca. Sentivamo che sarebbe una cosa grande se imparasse una visione della vita un po’ meno bianco e nero e che lui non è superiore a queste persone. (Wikipedia)

E’ una lezione importante. Magari se potessimo dubitare un po’ delle nostre certezze e la superiorità dei nostri ideali. Ci sono altri modi però di farlo. Invece di drammatizzare l’eroe e mostrare le sue inadeguatezze e debolezze, vorrei vedere le capacità di uno un po’ così, la forza di un nessuno o di una nessuna, il corraggio di un vecchio schifo o la creatività di un ragazzo sfigato e scontato. Cioè, mettere in dubbio la certezza che solo i supereroi sono eroi.

Datemi Forrest Gump 2. Voglio ingoiare un chilo di popcorn davanti a Forrest: the Beginning e provarci con una nell’ultima fila di Forrest 2020. Ancora meglio: Forrest vs. Silvio dove il protagonista riesce, senza volerlo, a trasformare un nuovo segretario del ONU e ad aiutarlo a superare i suoi egoismi e bisogni di potere.

L’unica via d’uscita


In your head, in your head they’re still fighting,
With their tanks and their bombs,
And their bombs and their guns.
In your head, in your head, they are crying…
In your head, in your head,
Zombie, zombie, zombie.

Non mi sentivo comodo seguire le indicazioni per Dachau in moto. Qualsiasi altro mezzo – macchina, TIR, carro armato – sarebbe stato più appropriato. Ma questo è il mezzo che ho scelto e come una brava compagna mi sosteneva lungo il sentiero d’asfalto 20 km da Monaco.

Visitare un campo di concentramento non è uno shock quando sei cresciuto con la memoria della Shoah. I campi fanno parte ormai della geografia emotiva; i luoghi, le date e i personaggi sono elementi della storia famigliare. Cioè, le foto dei liberatori non sono più sconvolgenti e i racconti dei sopravvissuti sembrano seguire temi già conosciuti. Sei impermeabile agli stimoli.

Essere impermeabile agli stimoli però vuol dire anche essere chiuso, forse ermeticamente. Ed essere chiuso vuol dire che gli stimoli già entrati, sensoriali ed emotivi, rimangono dentro senza possibilità di riconoscimento o di trasformazione.

Di che materiale è fatta questa chiusura per la gran parte di noi? Secondo me di idee, di concetti e di storie: mi identifico con il mio gruppo, le ingiustizie perpetuate dalle singole persone del tuo gruppo alle singole persone del mio gruppo diventano ingiustizie perpetuate da te a me. Non devi aver ereditato le memorie delle persecuzioni e i pogrom: un gruppo può essere religioso, etnico, politico, economico, sportivo, nazionale e così via. Ascolta le tue identità e sentirai non solo quali sono i tuoi gruppi ma anche “gli altri” in confronto ai quali le storie che ti definiscono non sarebbero possibili. Dov’è la destra senza la sinistra? I comunisti senza i fascisti? Religiosi/cattolici/chiesa senza laici? Romanisti senza Laziali? Ricchi senza poveri? Figli senza genitori? Non parlo storicamente (la storia) ma “storiemente” (le storie), concettualmente. Queste storie e i concetti semplicistici che implicano non sono soltanto maschere per le emozioni più basilari come l’orgoglio, la paura e la rabbia, ma le chiudono dentro di noi.

Il lato positivo è che la chiave che chiude dentro è la stessa che apre ed è sempre a portata di mano. Perciò è importante tornare – in questo caso fisicamente – alla storia, alla nostra storia e alle nostre storie con lo scopo di guardarle con occhi più maturi e più adulti.

Inevitabilmente i nostri concetti sono troppo semplici per la realtà e in quei momenti ci troviamo davanti ad una scelta. Uno, possiamo filtrare i dati che non corrispondono. Per esempio, saltare i racconti di come singoli residenti del paese di Dachau hanno cercato di aiutare gli imprigionati e hanno partecipato a una rivolta fallita e notare solo i diversi tipi di tortura e gli sperimenti sugli esseri umani. Oppure, possiamo cercare in modo attivo gli individui, l’individualità, le esperienze e le vite anche e specialmente quando i dati non sono congruenti con le storie nella nostra testa. La prima scelta gira la chiave dei nostri cuori e i nostri occhi nella direzione della chiusura, la seconda verso l’apertura e verso una comprensione più completa della realtà.

Continuo con l’esempio. Cercare l’individualità o l’umanità di una persona che ha torturato o ucciso non vuol dire giustificare o scusare. Vuol dire avere comprensione verso quella persona che non aveva altri mezzi per comportarsi diversamente e avere compassione sapendo che una persona così intrappolata dal suo odio e dalle sue paure non poteva conoscere la felicità. Come dice il monaco Thich Nhat Hanh, dopo avere letto di una ragazza di dodici anni stuprata e uccisa da un pirata,

Quando ricevetti la notizia di quella morte mi arrabbiai, ma dopo aver meditato per diverse ore mi resi conto che non potevo prendere le parti di quella ragazza e condannare il pirata. Vidi che se io stesso fossi nato in quel villaggio e fossi cresciuto nello stesso modo del pirata, mi sarei comportato esattamente come lui. Mettersi dalla parte di qualcuno è troppo semplice.

Se è troppo semplice metterci dalla parte della ragazza, quanto è semplice – e facile – metterci dalla parte di noi stessi, ovvero della nostra identità semplicistica! Cosa succederebbe se per un attimo lasciassimo in pace le storie, smettessimo di prendere un ruolo, di sentirci giustificati o di disumanizzare gli altri? Vi parlo dell’esperienza: lasciai Dachau con meno rabbia ma con determinazione, in pace e con un senso di speranza.

Non fraintendiamoci. Lasciare in pace le storie non significa dimenticare la storia. Senza la storia non c’è nessuna possibilità di entrare in contatto con la realtà passata, nessuna base sulla quale potremo mettere in questione le storie. Senza la storia non potremo ricordare i pericoli reali dell’orgoglio, della rabbia e dell’odio, né i tanti momenti di bellezza, di generosità, di apertura e di coraggio di fronte a quei pericoli. Ma possiamo lasciare in pace le storie che si raccontano da sole nelle nostre menti, che ci impediscono di vedere la realtà e che chiudono dentro le emozioni che ci causano di soffrire.

Qual’è la differenza tra metterti dalla parte di qualcuno e giustificare il suo comportamento? Ricordo che in America certi cristiani dicevano “odiate il peccato, amate il peccatore”. Solo quando vedi una persona nella sua umanità puoi vedere i perché dietro il comportamento, e da quel punto possiamo vedere che è in nostro potere di cambiare i perché futuri. Quando il mondo è pieno di mostri è logico avere paura e rabbia. Ma quando il mondo è pieno di condizioni che puoi cambiare è normale sentire coraggio e avere la pazienza.

Se “l’altro” non è più un mostro, cosa succede a “noi”? Se possiamo vedere l’altro come un essere umano è anche possibile vedere dentro noi stessi un mostro. Questa è la parte più difficile ma anche la parte che porta maggior soddisfazione. Come dicevo in il tuo vero potere, in ogni momento abbiamo la possibilità di trasformare la rabbia e l’odio. Invece di entrare in una sorta di relativismo, identificarci con l’altro ci porta a vedere esattamente quelle cose che possiamo davvero cambiare nel qui e ora. Lavorando con quelle cose vedremo effetti veri e visibili con il tempo.

E quindi troviamo una simmetria magica. Le storie, la semplicità, lo stesso pensiero che nega l’umanità creando inferni terrestri è anche lo stesso che ci fa soffrire al livello individuale. Dall’altra parte, girare la chiave nella direzione opposta non solo ci permette di vivere con più pace e meno rabbia. Ci permette di vedere i modi pratici con cui possiamo prevenire future tragedie.

Sei anni in Italia sono abbastanza per aver incontrato le principali storie italiane. Persone di destra parlano di “la sinistra” e viceversa come se l’altro fosse una forza monolitica senza faccia né individualità. Religiosi e laici pure. Qual’è il rischio di vedere l’umanità dell’altro? Il rischio è di confrontarci con le emozioni che stanno dietro le nostra identità, ma è proprio lì che si trova la chiave della nostra felicità. Quali sono le tue storie? Che emozioni nascondono e come ti impediscono di incontrare una realtà più complessa? Possono essere storie nazionali o storie famigliari, ma sono le tue storie e sarai la prima persona a sentire il sollievo quando giri la chiave.

L’unica via d’uscita da Dachau e da qualsiasi inferno creato dalle nostre storie viene percorsa su due ruote: la comprensione e la compassione.

Il tuo vero potere

E’ facile sentirsi piccoli davanti al mondo, impotente in confronto alle entità come stati, organizzazioni o società transnazionali. Sei una persona sola, che impatto puoi avere?

Questa sensazione viene molto facilmente qui a Norimberga. Anna, una mia ex-coinquilina, mi ha portato a vedere la città, la deliziosa piazza del mercato, il castello imperiale costruito da Carlo IV e i biergarten dove si beve la radler (la birra con la limonata) e si può mangiare l’opatzter, un “formaggio misto” fatto dal mescolare i resti di tutti i diversi formaggi che per caso si trovano nel frigo.

E’ qui a Norimberga che scelse Hitler di tenere le manifestazioni del partito, frequentati da decine di migliaia di persone, riti veri e propri che davano un senso di importanza e di ordine cosmico ai partecipanti attraverso simboli, miti e l’architettura. Perciò Hitler e il partito Nazista fecero costruire qui un enorme complesso: un centro congressi modellato sul Colosseo, la “strada grande” per le parate militari e lo Zeppelinfield, un grande stadio per le manifestazioni e riti pubblici.

Guardando le foto e i video di quelle manifestazioni spettacolari, con le bandiere, i soldati e i saluti, l’ordine e la grandiosità è facile sentirsi piccolo – infatti quell’era l’idea: dare ai partecipanti e osservatori la sensazione che solo attraverso il partito e il führer uno può avere un significato come individuo.

Ma oggi cosa rimane di quel impegno? Dei soldi e dell’energia investiti? Del partito e la sua organizzazione? Di quei edifici costruiti? Il Terzo Reich ha durato poco più di un decennio, il partito e organizzazione sociale sono scomparsi e le costruzioni, o quelle che hanno sopravvissuto i bombardamenti dagli alleati, ora sono utilizzati per scopi ben diversi che la dominazione mondiale e la glorificazione della “razza eletta”. La natura delle forme politiche di cambiare, più o meno velocemente, ci può dire tanto in riguardo alla nostra paura di essere piccoli o impotenti. Forse stiamo sbagliando quando cerchiamo di capire il senso delle nostre vite allo sfondo di forme politiche e ideologie, cose che fingono di essere assolute, eterne o durevoli ma che in realtà spesso durano solo qualche anno.

Nonostante ciò l’impatto dell’epoca nazista è ancora sentita. Basta guardare la paura di tanti israeliani sopravvissuti di terza generazione, un certo orgoglio semplicistico americano e italiano-di-sinistra (è facile sentirsi retto quando il tuo nemico mitologico è la Forza del Male), un senso di colpa di tedeschi nati ben dopo la seconda guerra mondiale, e così via. Sono le cose apparentemente sottili e soggettive che durano tanto, molto più al lungo che governi, movimenti sociali e costruzioni materiali. Più che la forza militare e il cemento, il fenomeno nazista era creato e mantenuto con la “colla” emotiva – la paura, l’odio, la chiusura, l’orgoglio – che era presente fra ogni strato della gerarchia sociale. Ed è il livello emotivo, il modo in cui percepiamo le relazioni tra noi e tutte le persone intorno, che è davvero la base del mondo in cui viviamo. Questo vale sia per la nostra ambiente politica che quella di lavoro che di famiglia.

E quindi? Le ideologie di massa non possiamo cambiare. I grandi edifici non possiamo smantellare. Ma questo non vuol dire che siamo piccoli – le ideologie disintegreranno da soli, i palazzi saranno utilizzati per nuovi scopi, come l’ex-Ministero delle Colonie è adesso la FAO. Ma le cose che contano davvero e che durano più a lungo sono pienamente nel tuo potere di cambiare. Partiamo con la paura, l’odio, la chiusura e l’orgoglio. Non passa un giorno che non incontriamo questi quattro vecchi amici, e questo è una grande opportunità. Non passa un giorno che non puoi trovare modi di riconoscerli e trasformarli. Non passa un giorno che non puoi avere un impatto positivo alla vita di tante persone. Non passa un giorno che non puoi gettare la fondamenta di una nuova realtà. Tu, una persona unica, hai un grande potere.

Appello per la pace

Saluti da Praga! Ho visto quant’era vicina e quindi l’itinerario si può sempre cambiare. Scriverò di più, con le foto, tra qualche giorno. Ma ora vorrei fare un appello.

Nonostante l’odio, la paura e la breve ma dolorosa storia del conflitto nella Terra Santa, di nuovo si parla di tentativi di pace, di conciliazione e d’accordi. Qualsiasi atto politico nella direzione della pace è benvenuto, anche se certo nessuna risoluzione sarà duratura se non affrontiamo direttamente, pubblicamente e al livello del cuore l’aspetto emotivo.

Se i governi degli stati di Israele e Siria possono arrivare a un accordo di pace e di riconoscimento reciproco, festeggerò l’evento guidando la mia Honda SH300i per via di terra dalla città eterna alla città santa, passando per Trieste, Istanbul e Damasco.

Comincio per prima non un Dialogo ma le conversazioni. Mangeremo allo stesso tavolo, suoneremo la stessa musica (una versione arabesca di “m’hai messo le catene”, forse?). Ogni giorno vi terrò aggiornati sul blog. Passate la parola! Dite ai vostri rappresentanti politici di sostenere le negoziazioni e di dare un appoggio politico, materiale e morale agli accordi! Conoscete giornalisti? Diteli di pubblicizzare l’appello. Lavori per l’Honda? Di ai tuoi capi che sarà un’ottima pubblicità! Possiamo tutti fare parte della pace, essere tutti un fattore che supera l’ignoranza e la paura, e partecipare tutti nella riconciliazione e l’amicizia, anche nell’amore.

Completata la nuova grande opera del cavaliere

Silvio Berlusconi, nuovamente eletto come capo governo, non si ferma nemmeno per un attimo. Nonostante le previsioni cupe dell’economia italiana – il pil in calo, il deficit fiscale e la crescita economica ben sotto il medio europeo – il cavaliere annuncia il compimento del suo più grande progetto fin ora. “Dopo anni di progettazione, di impegno e di arduo lavoro”, ha dichiarato questa mattina davanti a Palazzo Grazioli, “è un onore presentare come regalo personale al popolo italiano il Canale di Messina.”


Il canale, 3,2 km di larghezza, separa la penisola siciliana dal continente all’altezza delle città di Messina e di Reggio di Calabria. Il primo ministro evidenziava la convergenza d’interesse al livello nazionale: “il 14 aprile gli italiani hanno espresso il loro desiderio di più produttività economica, di maggior trasparenza e di autonomia. L’apertura del Canale è una risposta completa. Oltre a creare nuove opportunità d’impresa e offerta di lavoro nell’area dei servizi di trasporto, ora è chiaro a tutti il motivo per cui ho assistito gli offshore account e le transazioni di fondi neri destinati al mio caro amico Salvatore (Cuffaro – edr.) e altre organizzazioni siciliane. In più, non c’è un esempio migliore del principio di autonomia che tagliare fisicamente la regione dal resto del paese. Ho discusso il progetto a lungo con il ministro Bossi, e nonostante sia dal nord era sempre a favore dell’idea. Si può anche pensare a un progetto simile ma più ambizioso al nord che chiamo il Canale Po.”

In seguito all’affermazione che il “Canale” non è altro che una formazione geografica, il Cavaliere ha risposto che “in un paese libero e democratico come l’Italia non c’è luogo per bugie comuniste.”

Che fai tu in macchina?

E’ vero. Gli americani mangiano in macchina. Non sai quanti colazioni pranzi e ceni ho ingoiatato da bambino nella stescenuegon di mia madre e poi da adolescente nella mia Hyundai Excel (prima che la distrussi pensando di essere il terzo Blues Brother). E’ la cultura del drive-through (non drive-in: il cinema/parcheggio) dove ognuno può esprimere la sua libertà acquistando un hamburger, un’insalata, qualche taco o burrito oppure uno yogurt soft (esiste lo yogurt hard?) senza dover slacciare la cintura di sicurezza.

Certo che fa schifo. Ma qualcosa mi è venuto in mente mentre gustavo un maccheroni and cheese fresco dal microonde nella sedia di passeggero della SUV di mia madre. Non è solo che manca agli americani la cultura della tavola (si sa che non esiste la frase buon appetito) e del gusto, ma c’è qualcos’altro.

Gli americani mangiano in macchina perché possono.

La gente guida alla velocità legale. In una corsia sola. Senza le sinfonie dei clacson. Segnalando quando superano e quindi senza paura del matto che gli supera senza preavviso. Con il cambio automatico. Verde è verde e rosso è rosso. Tra strade larghe e ben mantenute grazie alle tasse che non evitano.

Guidare in America, anche in città, è tranquillo. Si può mangiare e devo dire, non è solo che in Italia c’è il gusto della tavola e una cucina tra le migliori nel mondo. Non si mangia in macchina anche perché guidandovi non ti viene la fame ma l’ulcera.

Tu e la guerra

Mi piace andare a passeggiare a Circo Massimo. Quant’è bella Piazza Navona! La settimana scorsa stavo pure a Piazza della Scala a Milano. Parliamo della pace, giudichiamo altri per la sofferenza umana, indossiamo un bel colore… io ho scattato una foto di un monaco tibetano. E’ importante diffondere le notizie e mostrare solidarietà, ma non si potrebbe chiamare questo anche una specie di turismo politico? Godiamo una bella piazza e il sole mentre bruciamo petrolio per arrivare a protestare la globalizzazione e compriamo le magliette made in China per sostenere il popolo birmano? Nonostante i volantini, le petizioni e le buone intenzioni, il fatto è che i nostri modi di vivere hanno un impatto (spesso negativo) molto maggiore di qualche giro in piazza. Sai dove vengono investiti i tuoi risparmi e chi guadagna dai tuoi debiti? Di solito le banche investono nei mercati più redditizi, come per esempio la produzione e la vendita delle armi.

Ovviamente non vi dico di smettere di prendere la macchina o di andare in giro senza maglietta (nessuna protesta però). Ma ecco una cosa facile da fare che ha un impatto: apri un conto alla Banca Etica, fondata sull’idea della trasparenza e l’economia solidale. Ci vuole un attimo ad aprirlo, e potrai dormire più tranquillo sapendo che non stai finanziando l’industria bellica. A Roma si trova vicino a Piazza Barberini (nel caso che ci passi per una manifestazione), e per chi non vuole prendere la metrò offro un passaggio in moto.

(dal sito Unimondo.org)
…tra le principali “banche armate” italiane Banca di Roma (che si aggiudica autorizzazioni per un valore complessivo di oltre 395 milioni di euro), il Gruppo bancario San Paolo Imi (autorizzazioni per oltre 366 milioni di euro), Banca Popolare Antoniana Veneta (121 milioni per uno share del 9%) e Banca Nazionale del Lavoro (71 milioni, cioè oltre il 5% del totale). Solo una banca straniera, la Calyon Corporate and Investment Bank, con 120 milioni di euro di autorizzazioni (9% del totale) si aggiudica qualcosa di simile ai maggiori gruppi italiani: ma è significativo che proprio a questa banca estera, nata dalla fusione di due gruppi (Crédit Lyonnais e Crédit Agricole Indosuez), sia stata affidata la riscossione dei pagamenti per una vendita di armi alla Cina di oltre 120 milioni di euro.