Gerusalemme secondo Pilar

“Tornata in ufficio, la domanda di rigore da amici e colleghi è ovvia: “Allora, com’è andata, cosa hai visto, che hai fatto?” La risposta un po’ meno: “niente di che!”… Più che altro mi sono rilassata, anche mentalmente fino al punto d’aver sentito un’apertura interna, un cambiamento di percezione dagli stimoli che mi circondano, verso il mondo intorno a me (non è una pubblicità della Vodafone!).

È difficile riassumere in poche linee quanto ho vissuto. Sarà stato il viaggio in treno fino ad Acco per partecipare a una “tenda per la pace”, un incontro fra arabi e ebrei per proporre delle nuove idee dopo gli scontri delle ultime settimane. Un’incantevole cittadina di mare nettamente divisa fra le due comunità dove il padrone dell’ostello parla delle persone coinvolte nell’evento come quegli della “peace”, come se usando la parola in inglese facesse capire che è una cosa estranea a lui.

Sarà stata l’intensità di un pomeriggio marcato da una parata con persone di tutto il mondo per festeggiare i 60 anni della nascita d’Israele e quando il gruppo di tedeschi passa sventolando la loro bandiera, un bambino accanto a noi grida “Germania, vai al inferno” – c’è tanto da pensare su questa rabbia ereditata.

Sara’ stata la passeggiata a Me’a She’arim. Appena entrati in questo quartiere ultraortodosso, sotto il cartellone che avverte ai turisti di non fotografare e di vestirsi in modo “modesto”, sotto le note di una vecchia canzone proveniente da una radio lontana, bisogna fermarsi per un attimo per capire che non si stia sognando. Sembra di aver fatto un salto nel tempo, la Polonia del XVIII secolo, uomini con capotti neri lucidi e cappelli tondi, famiglie numerosissime (seppure le statistiche dicono che il numero medio di figli è sceso da 9 a 8!) tutti vestiti uguali, dove a volte e’ difficile capire la differenza d’età fra il figlio più grande e la mamma. Come sarà vivere questa religiosità ogni attimo della tua vita, di fronte a un mondo così diverso dall’altra parte della strada?

Tutto quanto ho visto e le sensazione sperimentate mi hanno influenzato profondamente… un pranzo d’amici religiosi (che non ti danno la mano quando ti presenti perché sei donna e loro religiosi); cominciare ad interpretare il linguaggio del corpo quando la lingua è un ostacolo (imparare a dire “non vedi che non capisco una mazza” ai camerieri è fondamentale però!); i canti dello shabbat, la vita quotidiana a Nahlaot, un incontro con il Sangha [una comunità buddista] e l’apprendimento del termine “aimlessness“, gli odori, i sentimenti, le sukkòt [le capanne della festa di capanne], i sapori… questo viaggio mi ha cambiata, mi sento serena, più in contatto con il mondo e con me stessa… sarà la carica emotiva degli eventi descritti? la spiritualità di Gerusalemme o forse i waffle di Babette? Chi lo sa!”

Il penultimo giro dell’estate

Domenica scorsa alle 16.00 mi sono stufato dell’imballaggio, della pulizia e dell’organizzazione. E’ giunta l’ora opportuna di salire sulla moto per una passeggiata al centro e poi decidere dopo 100 m che sarebbe meglio invece aggiungere “di Fara in Sabina” alla parola “centro”. Che ci vuole? Il vento freddo d’autunno faceva cadere le vecchie foglie marroni e arancioni dell’anno scorso – sembrava una giornata di metà novembre. Sentivo i muscoli delle gambe mentre ascendevo le scale di pietra e respiravo l’aria fresca guardando i panorami, e i pacchi piano piano hanno deciso di lasciare la mia mente. O forse è stato solo il senso di urgenza che se ne andò. Oppure, mi sono ricordato che esiste il resto del mondo. Piccoli brevi momenti, minuscoli sottili modi di allargare l’orizzonte. Facile, basta coltivare l’abitudine di essere aperto e pronto a farlo.

Sono sicuro che grazie alla freschezza della Sabina e alla freschezza della mente potevo apprezzare ancora di più Arancia Blu, il migliore ristorante che conosco. Anche dopo un giorno stressante di lavoro ve lo consiglio, ma il menù, i vini, il servizio, l’ambiente e buona compagnia potreste gustare al massimo solo con i sensi rinfrescati.

Torno o parto?

Molto divertente… appena torno a Roma mi chiedete “allora quando parti?”. Sarebbe divertente se non fosse tra un mese…

Sono stato di nuovo a Gerusalemme, questa volta per partecipare a una workshop sull’educazione e la pace. 160 persone sono venute, israeliani, palestinesi e “internazionali.” Parlavamo del fatto che abbiamo due narrative storiche opposte – l’indipendenza per alcuni è la catastrofe per altri, la resistenza per alcuni è il terrorismo per altri. Per quanto possono esserci due storie però, la confusione è unica e siamo uniti nella credenza erronea che stare bene vuol dire vincere i vicini. Spero che usciremo tutti da questi 60 anni di confusione con indipendenza e sicurezza per tutti, sapendo che ce l’abbiamo fatto insieme.

Sono stati otto giorni senza la moto, un po’ di più senza scrivere sul blog. Qualche vacanza ci vuole, no?

L’unica via d’uscita


In your head, in your head they’re still fighting,
With their tanks and their bombs,
And their bombs and their guns.
In your head, in your head, they are crying…
In your head, in your head,
Zombie, zombie, zombie.

Non mi sentivo comodo seguire le indicazioni per Dachau in moto. Qualsiasi altro mezzo – macchina, TIR, carro armato – sarebbe stato più appropriato. Ma questo è il mezzo che ho scelto e come una brava compagna mi sosteneva lungo il sentiero d’asfalto 20 km da Monaco.

Visitare un campo di concentramento non è uno shock quando sei cresciuto con la memoria della Shoah. I campi fanno parte ormai della geografia emotiva; i luoghi, le date e i personaggi sono elementi della storia famigliare. Cioè, le foto dei liberatori non sono più sconvolgenti e i racconti dei sopravvissuti sembrano seguire temi già conosciuti. Sei impermeabile agli stimoli.

Essere impermeabile agli stimoli però vuol dire anche essere chiuso, forse ermeticamente. Ed essere chiuso vuol dire che gli stimoli già entrati, sensoriali ed emotivi, rimangono dentro senza possibilità di riconoscimento o di trasformazione.

Di che materiale è fatta questa chiusura per la gran parte di noi? Secondo me di idee, di concetti e di storie: mi identifico con il mio gruppo, le ingiustizie perpetuate dalle singole persone del tuo gruppo alle singole persone del mio gruppo diventano ingiustizie perpetuate da te a me. Non devi aver ereditato le memorie delle persecuzioni e i pogrom: un gruppo può essere religioso, etnico, politico, economico, sportivo, nazionale e così via. Ascolta le tue identità e sentirai non solo quali sono i tuoi gruppi ma anche “gli altri” in confronto ai quali le storie che ti definiscono non sarebbero possibili. Dov’è la destra senza la sinistra? I comunisti senza i fascisti? Religiosi/cattolici/chiesa senza laici? Romanisti senza Laziali? Ricchi senza poveri? Figli senza genitori? Non parlo storicamente (la storia) ma “storiemente” (le storie), concettualmente. Queste storie e i concetti semplicistici che implicano non sono soltanto maschere per le emozioni più basilari come l’orgoglio, la paura e la rabbia, ma le chiudono dentro di noi.

Il lato positivo è che la chiave che chiude dentro è la stessa che apre ed è sempre a portata di mano. Perciò è importante tornare – in questo caso fisicamente – alla storia, alla nostra storia e alle nostre storie con lo scopo di guardarle con occhi più maturi e più adulti.

Inevitabilmente i nostri concetti sono troppo semplici per la realtà e in quei momenti ci troviamo davanti ad una scelta. Uno, possiamo filtrare i dati che non corrispondono. Per esempio, saltare i racconti di come singoli residenti del paese di Dachau hanno cercato di aiutare gli imprigionati e hanno partecipato a una rivolta fallita e notare solo i diversi tipi di tortura e gli sperimenti sugli esseri umani. Oppure, possiamo cercare in modo attivo gli individui, l’individualità, le esperienze e le vite anche e specialmente quando i dati non sono congruenti con le storie nella nostra testa. La prima scelta gira la chiave dei nostri cuori e i nostri occhi nella direzione della chiusura, la seconda verso l’apertura e verso una comprensione più completa della realtà.

Continuo con l’esempio. Cercare l’individualità o l’umanità di una persona che ha torturato o ucciso non vuol dire giustificare o scusare. Vuol dire avere comprensione verso quella persona che non aveva altri mezzi per comportarsi diversamente e avere compassione sapendo che una persona così intrappolata dal suo odio e dalle sue paure non poteva conoscere la felicità. Come dice il monaco Thich Nhat Hanh, dopo avere letto di una ragazza di dodici anni stuprata e uccisa da un pirata,

Quando ricevetti la notizia di quella morte mi arrabbiai, ma dopo aver meditato per diverse ore mi resi conto che non potevo prendere le parti di quella ragazza e condannare il pirata. Vidi che se io stesso fossi nato in quel villaggio e fossi cresciuto nello stesso modo del pirata, mi sarei comportato esattamente come lui. Mettersi dalla parte di qualcuno è troppo semplice.

Se è troppo semplice metterci dalla parte della ragazza, quanto è semplice – e facile – metterci dalla parte di noi stessi, ovvero della nostra identità semplicistica! Cosa succederebbe se per un attimo lasciassimo in pace le storie, smettessimo di prendere un ruolo, di sentirci giustificati o di disumanizzare gli altri? Vi parlo dell’esperienza: lasciai Dachau con meno rabbia ma con determinazione, in pace e con un senso di speranza.

Non fraintendiamoci. Lasciare in pace le storie non significa dimenticare la storia. Senza la storia non c’è nessuna possibilità di entrare in contatto con la realtà passata, nessuna base sulla quale potremo mettere in questione le storie. Senza la storia non potremo ricordare i pericoli reali dell’orgoglio, della rabbia e dell’odio, né i tanti momenti di bellezza, di generosità, di apertura e di coraggio di fronte a quei pericoli. Ma possiamo lasciare in pace le storie che si raccontano da sole nelle nostre menti, che ci impediscono di vedere la realtà e che chiudono dentro le emozioni che ci causano di soffrire.

Qual’è la differenza tra metterti dalla parte di qualcuno e giustificare il suo comportamento? Ricordo che in America certi cristiani dicevano “odiate il peccato, amate il peccatore”. Solo quando vedi una persona nella sua umanità puoi vedere i perché dietro il comportamento, e da quel punto possiamo vedere che è in nostro potere di cambiare i perché futuri. Quando il mondo è pieno di mostri è logico avere paura e rabbia. Ma quando il mondo è pieno di condizioni che puoi cambiare è normale sentire coraggio e avere la pazienza.

Se “l’altro” non è più un mostro, cosa succede a “noi”? Se possiamo vedere l’altro come un essere umano è anche possibile vedere dentro noi stessi un mostro. Questa è la parte più difficile ma anche la parte che porta maggior soddisfazione. Come dicevo in il tuo vero potere, in ogni momento abbiamo la possibilità di trasformare la rabbia e l’odio. Invece di entrare in una sorta di relativismo, identificarci con l’altro ci porta a vedere esattamente quelle cose che possiamo davvero cambiare nel qui e ora. Lavorando con quelle cose vedremo effetti veri e visibili con il tempo.

E quindi troviamo una simmetria magica. Le storie, la semplicità, lo stesso pensiero che nega l’umanità creando inferni terrestri è anche lo stesso che ci fa soffrire al livello individuale. Dall’altra parte, girare la chiave nella direzione opposta non solo ci permette di vivere con più pace e meno rabbia. Ci permette di vedere i modi pratici con cui possiamo prevenire future tragedie.

Sei anni in Italia sono abbastanza per aver incontrato le principali storie italiane. Persone di destra parlano di “la sinistra” e viceversa come se l’altro fosse una forza monolitica senza faccia né individualità. Religiosi e laici pure. Qual’è il rischio di vedere l’umanità dell’altro? Il rischio è di confrontarci con le emozioni che stanno dietro le nostra identità, ma è proprio lì che si trova la chiave della nostra felicità. Quali sono le tue storie? Che emozioni nascondono e come ti impediscono di incontrare una realtà più complessa? Possono essere storie nazionali o storie famigliari, ma sono le tue storie e sarai la prima persona a sentire il sollievo quando giri la chiave.

L’unica via d’uscita da Dachau e da qualsiasi inferno creato dalle nostre storie viene percorsa su due ruote: la comprensione e la compassione.

Praga

Ormai sono tornato in Italia ma i ricordi, le osservazioni e le impressioni ancora piano piano si convertono in parole. Oggi potete guardare qualche foto di Praga.

Oltre all’architettura, i cafè, i siti turistici come Ponte Carlo e l’arrivo inaspettato di una parata degli Hari Krishna sono rimasto impressionato dai tram. Li vedi dovunque, passano spesso e vanno pure veloce! Che ci vuole ad aumentare la velocità dei tram a Roma? La gente che aspetta al rosso o che guarda prima di attraversare i binari?

La birra migliore che ho avuto il piacere di gustare è la Kozel scura.

C’è un linguista che ci può spiegare come mai si dice Praga e non Praha come in ceco? Tipo New Gampshire? Tegherano?

Monaco

Dopo Norimberga il destino mi portò a Monaco a trovare Stefi. Nel passato avevo trovato la capitale bavarese un po’ troppo pulita, un po’ finta, ma fuori dal centro ho trovato una città molto carina, con tanti locali invitanti e un’energia vivace. Mi ha portato a Schwabing, un quartiere studentesco, per assaggiare la birra locale e chiacchierare con amici simpatici. Una sera abbiamo preso perfino una pizza: dove a Roma puoi trovare un pizzaiolo italiano vero e proprio?

Conoscete il problema del rifiuto elettronico? Dove noi cittadini dei paesi più sviluppati mandiamo i nostri vecchi computer, schermi e altri oggetti elettronici ai paesi in via di sviluppo per usarli magari un anno in più, e poi vengono fregati con tutto il rifiuto inquinante? E’ uno dei modi per riconoscere quali paesi sono più avvanzati o ricchi. Quindi ero un po’ perplesso di vedere così tante Vespa per le strade di Norimberga e Monaco, tutte vintage, mentre in Italia si gira con i modelli nuovi. Tante tante Vespa! Ma perchè i poveri bavaresi devono comprare i modelli vecchi? Forse perchè hanno speso troppo per le BMW, Audi e Mercedes?

Oltre ad esercitare il mio interesse per le moto abbiamo visto il nymphenburgerschlosspark, lo stadio olimpico, una chiesa, una pasticceria buonissima (la pasticcera è giapponese), e abbiamo passato un bel po’ di tempo girando per i quartieri ad apprezzare la bellissima città.

Il tuo vero potere

E’ facile sentirsi piccoli davanti al mondo, impotente in confronto alle entità come stati, organizzazioni o società transnazionali. Sei una persona sola, che impatto puoi avere?

Questa sensazione viene molto facilmente qui a Norimberga. Anna, una mia ex-coinquilina, mi ha portato a vedere la città, la deliziosa piazza del mercato, il castello imperiale costruito da Carlo IV e i biergarten dove si beve la radler (la birra con la limonata) e si può mangiare l’opatzter, un “formaggio misto” fatto dal mescolare i resti di tutti i diversi formaggi che per caso si trovano nel frigo.

E’ qui a Norimberga che scelse Hitler di tenere le manifestazioni del partito, frequentati da decine di migliaia di persone, riti veri e propri che davano un senso di importanza e di ordine cosmico ai partecipanti attraverso simboli, miti e l’architettura. Perciò Hitler e il partito Nazista fecero costruire qui un enorme complesso: un centro congressi modellato sul Colosseo, la “strada grande” per le parate militari e lo Zeppelinfield, un grande stadio per le manifestazioni e riti pubblici.

Guardando le foto e i video di quelle manifestazioni spettacolari, con le bandiere, i soldati e i saluti, l’ordine e la grandiosità è facile sentirsi piccolo – infatti quell’era l’idea: dare ai partecipanti e osservatori la sensazione che solo attraverso il partito e il führer uno può avere un significato come individuo.

Ma oggi cosa rimane di quel impegno? Dei soldi e dell’energia investiti? Del partito e la sua organizzazione? Di quei edifici costruiti? Il Terzo Reich ha durato poco più di un decennio, il partito e organizzazione sociale sono scomparsi e le costruzioni, o quelle che hanno sopravvissuto i bombardamenti dagli alleati, ora sono utilizzati per scopi ben diversi che la dominazione mondiale e la glorificazione della “razza eletta”. La natura delle forme politiche di cambiare, più o meno velocemente, ci può dire tanto in riguardo alla nostra paura di essere piccoli o impotenti. Forse stiamo sbagliando quando cerchiamo di capire il senso delle nostre vite allo sfondo di forme politiche e ideologie, cose che fingono di essere assolute, eterne o durevoli ma che in realtà spesso durano solo qualche anno.

Nonostante ciò l’impatto dell’epoca nazista è ancora sentita. Basta guardare la paura di tanti israeliani sopravvissuti di terza generazione, un certo orgoglio semplicistico americano e italiano-di-sinistra (è facile sentirsi retto quando il tuo nemico mitologico è la Forza del Male), un senso di colpa di tedeschi nati ben dopo la seconda guerra mondiale, e così via. Sono le cose apparentemente sottili e soggettive che durano tanto, molto più al lungo che governi, movimenti sociali e costruzioni materiali. Più che la forza militare e il cemento, il fenomeno nazista era creato e mantenuto con la “colla” emotiva – la paura, l’odio, la chiusura, l’orgoglio – che era presente fra ogni strato della gerarchia sociale. Ed è il livello emotivo, il modo in cui percepiamo le relazioni tra noi e tutte le persone intorno, che è davvero la base del mondo in cui viviamo. Questo vale sia per la nostra ambiente politica che quella di lavoro che di famiglia.

E quindi? Le ideologie di massa non possiamo cambiare. I grandi edifici non possiamo smantellare. Ma questo non vuol dire che siamo piccoli – le ideologie disintegreranno da soli, i palazzi saranno utilizzati per nuovi scopi, come l’ex-Ministero delle Colonie è adesso la FAO. Ma le cose che contano davvero e che durano più a lungo sono pienamente nel tuo potere di cambiare. Partiamo con la paura, l’odio, la chiusura e l’orgoglio. Non passa un giorno che non incontriamo questi quattro vecchi amici, e questo è una grande opportunità. Non passa un giorno che non puoi trovare modi di riconoscerli e trasformarli. Non passa un giorno che non puoi avere un impatto positivo alla vita di tante persone. Non passa un giorno che non puoi gettare la fondamenta di una nuova realtà. Tu, una persona unica, hai un grande potere.

Appello per la pace

Saluti da Praga! Ho visto quant’era vicina e quindi l’itinerario si può sempre cambiare. Scriverò di più, con le foto, tra qualche giorno. Ma ora vorrei fare un appello.

Nonostante l’odio, la paura e la breve ma dolorosa storia del conflitto nella Terra Santa, di nuovo si parla di tentativi di pace, di conciliazione e d’accordi. Qualsiasi atto politico nella direzione della pace è benvenuto, anche se certo nessuna risoluzione sarà duratura se non affrontiamo direttamente, pubblicamente e al livello del cuore l’aspetto emotivo.

Se i governi degli stati di Israele e Siria possono arrivare a un accordo di pace e di riconoscimento reciproco, festeggerò l’evento guidando la mia Honda SH300i per via di terra dalla città eterna alla città santa, passando per Trieste, Istanbul e Damasco.

Comincio per prima non un Dialogo ma le conversazioni. Mangeremo allo stesso tavolo, suoneremo la stessa musica (una versione arabesca di “m’hai messo le catene”, forse?). Ogni giorno vi terrò aggiornati sul blog. Passate la parola! Dite ai vostri rappresentanti politici di sostenere le negoziazioni e di dare un appoggio politico, materiale e morale agli accordi! Conoscete giornalisti? Diteli di pubblicizzare l’appello. Lavori per l’Honda? Di ai tuoi capi che sarà un’ottima pubblicità! Possiamo tutti fare parte della pace, essere tutti un fattore che supera l’ignoranza e la paura, e partecipare tutti nella riconciliazione e l’amicizia, anche nell’amore.

L’East Coast

No, non il confine con la repubblica ceca. E non sono salito di nuovo sulla moto e attraversato l’oceano. Sono solo qualche foto da Nuova York e Filadelfia a maggio che non avevo tempo di pubblicare.

A dire la verità, a volte pareva la costa Occidentale, tipo Sciangai…

O magari la Puglia? O tutte e due?

Ma no, l’America lo era. Una guardia fuori dal edificio che ingabbia/protegge la campana della libertà, i pompieri nel Upper West Side, e delle native incontrate per strada.

“Dov’è Mauro?” mi chiedevano.

Quänt’è bëlla l’Itälia!

Ieri mattina, dopo un breve soggiorno da un’amica di vecchia data ho lasciato la cappa fiorentina per il fresco tirolese. La pianura padana serviva bene a testare le prestazioni dello scooter glorioso e i controlli appena fatti dal meccanico. Magari su Google Earth si vede una bella striscia rossa su qualche pezzo dell’A1. Entrando nella Val Gardenia mi sono chiesto dov’era topolino – così bella, tranquilla che non poteva essere vera!

Grazie all’ospitalità di Maddalena & co. ho goduto, oltre alla vista delle montagne, l’aria pulita e il suono di ladino, una tradizione tipica südtirolese – il festival annuale di metalari. I gruppi sono venuti dalla Germania, la moda dall’America, i ragazzini headbanger dai paesi intorno. Ovviamente si mangiava la pasta al pomodoro con la birra.

Mi dispiace – nel frettoloso sistemare lo zaino ho scordato il cavetto per scaricare le foto. Quando potrò torno a questo post a rimettere foto e filmini.

Stamattina ho preso la strada statale al passo di Brennero e attraverso l’Austria. Le curve lente e morbide delle strade bavarese mi ricordavano l’Ohio e i giri con il mio primo amore – l’Honda Shadow VT700C.

Nel tardo pomeriggio sono arrivato a Intersein Zentrum, emozionato dal viaggio e dai ritorni. Un bacio a tutti, siete con me.