Se Parigi avesse il mare e Café Hillel, sarebbe una piccola Tel Aviv

E quanto mi mancava! Basta prendere il caffè in piedi, basta non sapere dove andare per rilassarmi, leggere un giornale e chiacchierare con un amico. Fidatemi, né Parigi né Vienna può paragonarsi alla cultura dei café in Israele.

Il Café Hillel originale si trova a via Hillel a Gerusalemme, e c’è di tutto: cornetti al burro, al cioccolato o alla mandorla, insalatone creative, zuppe, panini (basilico, olive e rughetta con feta, per esempio, tra due fette di pane scuro, spesso e morbido come il più accogliente asciugamano che puoi immaginare), quiche da paura. Scegli il tuo desiderio, paga alla cassa, trovati un tavolo e aspetta il cameriere mentre ascolti la musica non troppo alta e sopratutto non Pop.

C’è anche Café Aroma con il caffè ancora meglio, anche se invece di avere l’ordine portato a tavola devi lasciare il tuo nome e tornare a prenderlo quando ti chiamano. Se ci vai – non importa se ti chiami Roberto, Mauro o Giulia – quando chiede il tuo nome ti consiglio di rispondere “Bar” (selvatico). Si fermerà un attimo, ti guarderà negli occhi e ti dirà איזה שם יפה “che bel nome!”

La vita gerosolimitana

Bibib! Ma che è?
Bibib!
Vi giuro che non avete mai sentito un suono così.

Bibib! E’ un breve suono di clacson di un tassista, rallentandosi e chiedendoti se hai bisogno del suo servizio. Qui a Gerusalemme, dove il trasporto pubblico è molto diffuso (anche per il basso reddito dei suoi cittadini), si può prendere un tassì per strada, senza aspettare troppo, senza pagare l’ira di dio (un’espressione che all’inizio dei miei studi italiani sembrava “la lira di dio”), senza prenotare per telefono solo per aspettare 20 minuti già con €8 sul tassametro. Questa comodità ha i suoi difetti: a volte ti stufi dei suonetti quando davvero vuoi solo fare una passeggiata, e poi appena entri si rallentano quando avvicinano ai semafori verdi e si affrettano a fermare al rosso – mica ti offrano un giro gratis. Ma tante strade qui in capitale hanno le corsie dedicate al trasporto pubblico, e dopo un po’ di tempo a Roma ho imparato ad apprezzare queste piccole imperfezioni di un servizio così prezioso.

Sono arrivato venerdì pomeriggio, con lo stesso volo che avevo preso a giugno, solo che d’inverno lo shabbat arriva molto più presto. Infatti già alle 16.00 tutti i negozi erano chiusi, e invece di farmi la spesa dovevo camminare (scegliendo di non prendere un tassì, ovviamente) al centro per prendere un melawah in uno dei pochi ristoranti aperti. Sabato sera, all’uscita dello shabbat sono andato in supermercato e oltre al humus, baba ganuj, arance e pompelmi che magari si può aspettare, c’era anche la pasta fresca in frigo (ravioli, gnocchi) e i formaggi. Stracchino, mascarpone, “mozarela”… oltre che quattro salti in padella! Solo che ancora non ho capito come producono la mozarela di bufalo.

Di sera esco con gli amici. E’ difficile trovare Taybeh, una delle mie birre preferite, ma vale la pena cercarla. Ad un concerto due gruppi suonavano musica originale in ebraico, un genere che esprimeva un cinismo, una tristezza e una certa profondità di sentimenti. Pensavo un attimo all’immagine di Israele che tiene qualche amico in Italia, idee tipiche del conflitto mediorientale, la guerra, l’occupazione, un’immagine del mondo costruita attraverso le due lenti italiane di comunismo e di fascismo. Invece qui, come in ogni paese con la libertà di espressione e del pensiero, c’è del tutto: nazionalisti, hippy, gente che si occupa del arricchirsi, persone generose con il loro tempo e le loro risorse nell’aiutare coloro che hanno bisogno, movimenti per la legalizzazione della marijuana, studenti, meccanici, ambientalisti.

Ecco la faccia dell’occupazione.