La determinazione

Le sofferenze di mille generazioni
di persecuzione, di pogrom
e di frustrazioni infinite
sono state passate a te questa mattina.
Da una parrucchiera!

Le sue parole dure erano presenti nel tuo stomaco teso
la sua paura si vedeva nei tuoi occhi arrabbiati.
E per un momento ho visto la catena ininterrotta,
il circolo di azione e reazione,
la trasmissione da cuore a cuore.

La sofferenza di una parrucchiera è adesso quella della mia amica
e quella della mia amica è diventata la mia.
Il tuo stomaco teso è presente nel mio giudizio duro
i tuoi occhi arrabbiati
si vedono nel mio respiro corto.

La mia aspirazione come un’asta di ferro
immersa profondamente nella terra della compassione e della fiducia:
“Questa catena termina qui.”

Il profeta disse che forgeremmo spade in vomeri.
Di una ho forgiato la gratitudine.


Tradotta dal originale inglese.

E’ verde, piccolo e fa felice. Che cos’è?

Questa terra ha tanti nomi, alcuni più conosciuti e alcuni meno. “La Terra d’Israele”, “la Palestina”, “Canaan”, ma anche altri più metaforici e descrittivi come, per esempio “Il paese stillante latte, miele e pesto.”

Per errore di trascrizione quest’ultimo è stato dimenticato. Pare che qualche goccia verde e oleosa cadde sulla pergamena perché allo scrivano che, che copiava il testo tenendo nell’altra mano un panino, finirono i tovaglioli. Quando il suo discepolo arrivò per eseguire la copia successiva, pensò che la macchia fosse una correzione. Non prestò neanche tanta attenzione perché sentì un desiderio strano ma assai forte di farsi una merenda. Posò il pennello e andò a mangiare una focaccia coperta di formaggio di capra e la specialità della casa, פסטו. Perciò le nostre bibbie sono incomplete e i cibi concessi per i scrivani sono ora più ristretti.

Ancor oggi gli israeliani vanno pazzi per il sapore di basilico e aglio pestati insieme. Lo troverai sui panini mozarela e pomodoro, servito insieme al pane quando ti siedi al ristorante, sulla pizza, nell’insalata… E’ come se fossimo tutti battezzati nel divino gusto da San Giovanni in persona. Credo che quel tocco di formaggio stagionato dà il senso di stare in un paese in pace, dove le piazze sono larghe quanto i sorrisi, dove il vino fluisce come il Giordano e soprattutto dove nessuno ti controlla la borsa quando entri nel ristorante e dove non senti un colpo di ansia quando uno scende dal autobus dimenticando una borsa sotto il sedile. Ci credo che gli israeliani sono innamorati dell’Italia: qui la foglia di basilico è la bandiera della libertà.

Non vorremmo tutti stare in un altro paese, dove non sentiamo frustrati con il nostro governo, dove la gente ci sorride e dove ci sentiamo liberi? Pensiamo tutti di avere la soluzione di tutti i problemi del paese, basta lottare contro quell’altro partito o paese, e poi quando finiamo per essere frustrati perché non funziona torniamo al sogno. C’è tanto in comune fra questi due popoli, e credo che tutti noi esseri umani condividiamo lo stesso sangue verde.

A professo’


Mi chiedi perché ti ascolto,
che importanza abbia il fatto che oggi
hai parlato con tua sorella
hai giocato con una bimba
e hai provato rimorso
mangiando un essere vivente?

E’ vero che sono uno studente promiscuo
che segue maestri esotici e illustri.
Nella mia lingua di concetti e di astrazioni
mi istruiscono: ascolta, ascolta.

Se oggi tutti avessero dato ascolto a un familiare
ci sarebbe meno guerra.
Se oggi tutti avessero giocato con una bimba
ci sarebbe meno corruzione.
Se oggi tutti avessero meditato su cosa stavano consumando
ci sarebbe meno fame.
Se oggi io avessi mostrato la tua umiltà
sarei più felice.

Cara maestra, non vedi che la lezione che impartisci tu
è quella più preziosa?
E che la mia è solo ricordarti che siamo nella tua aula?

Aspetto con gioia la prossima lezione.

L’intelligenza

Caro ragno che sei perfetto
benedetto di ogni dote necessaria
gambe, occhi e soprattutto istinto.
Fai casa senza volerlo
ti alimenti senza deciderlo.
Privo di un singolo pensiero
l’intelligenza sublime che esprimi non è nel tuo cervello microscopico
ma nel tuo esistere.

Cara vespa che sei perfetta
complessa di corpo e di comportamento
capace di navigare senza pensiero
di vivere e di morire senza esitazione.
Intelligente non sei.
Il tuo essere però è una manifestazione
di un’intelligenza vasta e profonda.

Cara vita di infinite manifestazioni
di replicazione, di variazione e di mutazione continua.
Vedo nelle tue forme
che l’intelligenza suprema e originaria sei tu.
E che la mente umana è la vera intelligenza artificiale.

Il pensiero astratto, l’immaginazione e la razionalità
permettono ai tuoi volti umani di inventare, pianificare, costruire,
eliminare, inquinare, distruggere e annientare.
Consapevoli, quanto il ragno e la vespa,
dei motivi e dei risultati della loro attività
fino al punto che l’intelligenza artificiale minaccia il suo creatore.

Cara vita misteriosa, rivelati, rispondimi.
Perché giochi questo gioco d’azzardo?
Perché fai la gara con te stessa?
Hai dato luce al pensiero che ti minaccia
e anche alla consapevolezza capace di salvarti.

Cara vita, non sono in grado di prevedere l’esito del tuo gioco.
La mia mente è incapace – quanto la tela del ragno e le ali della vespa – di comprendere la tua complessità.

Cara vita, mi arrendo alla tua intelligenza originaria.
Mi affido a entrambe le doti che possiedo: il pensiero e la consapevolezza
come il ragno si affida alle sue gambe
e la vespa alla sua navigazione.

Cara vita che sei perfetta, mi arrendo a te.

L’identità della pace

Secondo la stima cauta dell’ONU, più di 8.000 civili sono stati uccisi nel combattimento dal 20 gennaio. Non attribuisce la colpa. Però Human Rights Watch (HRW), un gruppo di ricerca e lobbismo, accusa le Tigri di tenere in ostaggio gli abitanti del loro primo feudo – e di uccidere alcuni che tentano di fuggire. E dice che l’esercito “ha bombardato senza distinzione zone densamente popolate, compresi ospedali, in violazione delle leggi di guerra.”

Bagno di sangue in Sri Lanka, “The Economist” 14.5.2009

Sono parole agghiaccianti di un altro conflitto tragico di temi conosciuti: la violenza, la lotta, la resistenza, il terrorismo, la guerra, la paura. Qui si tratta di indù e buddisti che non riescono a risolvere le loro differenze, tamil e cingalesi intrappolati nella confusione e nel odio.

Questa volta però le manifestazioni sono poche – ho letto di una sola a Palermo febbraio scorso, della comunità tamil. Con alcuni eccezioni, nel resto d’Italia e in Europa le emozioni rimangono calme, i dibattiti sono più rari e meno vociferi e pare che non è cosa degna di attenzione popolare. Dove sono le folle nelle piazze, le bandiere, i slogan? Dove sono i sostenitori dei diritti dei tamil contro l’aggressione buddista? Dove sono i pro-cingalesi che affermano il diritto di uno stato di difendersi contro il terrorismo?

Potremo dire che ci sono differenze fra i due conflitti, quello israeliano-palestinese e quello tamil-cingalese. Potrebbe essere però che la differenza più significativa nella nostra reazione non si trova lì in Asia occidentale o sud-est ma in noi. Cos’è che ci coinvolge così tanto di certe temi e non in altre? Quando leggiamo di Sri Lanka forse sentiamo un coinvolgimento più attutito mentre quando si discute il Medio Oriente i nostri cuori battano forte. Sia noi che crediamo di essere filo-palestinesi che noi che crediamo di essere filo-israeliani comportiamoci in un modo simile. E il fatto che siamo così divisi, e divisi fra le eterne faglie politiche italiane, punta al fatto che sotto le discussioni politiche c’è qualcos’altra. I filo-tamil e i filo-buddisti si dividono secondo i partiti politici classici?

C’è una barzelletta cattolica-americana: “Come sai se uno è cattolico?” “Se va a messa?” “No.” “Se fa la confessione?” “No.” “Allora?” “Se si vergogna ogni volta che il papa apre la bocca.” Credete che un americano d’origini cingalese avrebbe una reazione emotiva, a favore o contro che sia? Un americano cattolico, pur essendo ateista o protestante ormai da anni, sente il cuore batte quando il papa dice qualcosa di controverso. Come noi. Senza esserne coscienti ci sentiamo coinvolti. Ci identifichiamo con qualcosa.

La maggior parte degli italiani però non sono d’origini ebraiche, palestinesi, tamil o cingalesi. E quindi? L’identità è una strana cosa e non per niente razionale. Per tutta la vita siamo stati insegnati a prestare attenzione a certi temi, a identificarci con certe situazioni e persone. Siamo addestrati a provare emozioni davanti a certi simboli e non davanti ad altri. I motivi sono tanti, dall’antica disumanizzazione di un popolo alla guerra fredda; motivi storici, politici e anche personali e psicologici, dove c’entrano tutt’altro che gli oggetti della nostra attenzione. Il risultato è che siamo più propensi a riconoscere la sofferenza di alcuni e più propensi a chiudere il cuore davanti ad altri.

Ma non è questo proprio il problema? Là in Asia, come in altre parti del mondo, i conflitti violenti esistono perché le persone non riescono a identificarsi con gli altri. Questo è la base dei molti iniziativi di dialogo: imparare ad aprire l’orizzonte e il cuore alla esperienza del altro. Se vogliamo veramente aiutare, possiamo cominciare già adesso a sviluppare questa capacità. Noi filo-israeliani possiamo impegnarci a capire meglio le realtà dei palestinesi (e non “il punto di vista dei palestinesi”), e noi filo-palestinesi possiamo fare lo stesso con le realtà degli israeliani, nonostante che crediamo di già sapere tutto e di capire tutto. E possiamo tutti imparare ad aprire il cuore alle persone che siamo abituati a ignorare. Se non lo possiamo fare noi, che speranza c’è?

Facendo questo potremo scoprire tante cose. Uno, che la capacità di identificarci con più persone ci aiuterà a risolvere tanti conflitti nella vita quotidiana. Due, sapendo quanto è difficile sviluppare questa capacità, sentiremo più pazienza e compassione per gli altri che, come noi, hanno tanta strada da fare. Tre, anche se non possiamo risolvere tutti i conflitti subito, stiamo già diffondendo meno sofferenza nel mondo. Quattro, avendo gli occhi e il cuore aperti a chi ignoravamo l’esistenza, può essere che troveremo modi di aiutarli che non avremo visti altrimenti. Forse c’è qualcuno vicino a noi che ha bisogno del nostro aiuto.

Durante la guerra a Gaza ho provato a mettermi nei panni degli altri a 360°, dai giovani israeliani chiamati alla fronte ai politici e militari di Hamas e Israele, ai residenti di Gaza e del sud di Israele. Metterti nei panni di qualcuno non vuol dire accettare le cose che dice: a volte puoi sentire compassione per qualcuno che soffre così tanto che non riesce a identificare la radice della sua sofferenza. Già vedere che ci sono radici – e che non si tratta di un mostro – ci da la possibilità di cambiare le radici. E’ vero che facendo questa pratica non ho fermato la guerra. Credo comunque che è stato di beneficio e che grazie alla pratica ho diffuso la sofferenza in qualche misura ridotta dal solito, e i benefici non sono sempre immediati. Credo che rinforzando i propri pregiudizi e incapacità di sentire la compassione non risolve il conflitto neanche.

Ripeto. Se non possiamo noi imparare ad aprire gli orizzonti, verso chi siamo abituati a vedere come mostri o verso chi non siamo abituati a vedere proprio, non possiamo sperare che i nostri fratelli che vivono le guerra lo possono fare. E facendolo noi come esempio lo stiamo facendo anche più facile per loro.

L’ultima cosa. Che sono queste foto di scatole e scatole? Dopo la guerra sono andato ad aiutare un gruppo di israeliani che raccoglieva cibo, vestiti e altri materiali per donare ai residenti di Gaza, in collaborazione con un’associazione palestinese. Nonostante l’animosità della guerra e nonostante le narrative ufficiali che demonizzano l’altro, le donazioni sono arrivati dal tutto il territorio, compreso dai villaggi del sud d’Israele vittimi dei razzi di Hamas.

Brividi di liberazione

Brividi freddi in questa sera calda e appiccicosa, sulle braccia nude e dietro il collo.

Apro gli occhi e si rivela il mondo fisico: persone separate, distinte e uniche, come palle da biliardo, con i propri interessi, i propri desideri, pensieri, identità. Entità autonome che si relazionano fra di loro.

Chiudo gli occhi e li riapro. Si rivela il mondo assoluto: onde di emozioni, di idee, di materiale che attraversano l’oceano dell’esistenza. Momenti che portano momenti, un continuo di trasmissioni.

Li richiudo e li riapro. Siamo piccoli e fragili, limitati al periodo dalla nascita alla morte. Possediamo solo ciò che è fra le nostre mani e nei nostri conti correnti, e rischiamo di perdere tutto.

Li chiudo e li apro. Siamo le nostre azioni e i loro frutti per mille generazioni, catene infinite di causa ed effetto che nessuno ci può rubare. L’unica cosa che possediamo è la sempre-presente capacità di dare, di comprendere, di trasformare. Tutto ciò che siamo ci ha preceduto e tutto ciò che siamo continuerà.

Li richiudo e li riapro.
Individui, popoli, stati.

Li richiudo e li riapro.
L’eterno e l’infinito mutare del cosmo.

Li chiudo e li apro e i due mondi, il relativo e l’assoluto, coesistono. Per un attimo li posso vedere insieme come le immagini satellitari e gli schemi stradali sovrapposti su Google Earth.

La liberazione non è lasciare un mondo per l’altro. E’ la libertà di passare fra i due. Posso trasformare la catena di sofferenza solo con persone esistenti e presenti. Per non rimanere ferito dalle espressioni della sofferenza nel mondo fisico, passo al mondo eterno e ricordo che non c’è niente che mi può minacciare. E’ una libertà di scegliere l’oggetto della mia coscienza nonostante le abitudini della mente. Un dolore da accogliere o un’ispirazione che dà forza, dentro o fuori – è una scelta consapevole.

Accetto l’invito dei brividi a tornare a questo corpo e a queste emozioni. Calmando i sensi riconosco la presenza della paura e della rabbia. Che posso fare con queste onde, simultaneamente mie e non-mie?

Le posso solo accettare, con un amore simultaneamente mio e non-mio.

La sciacsciùca

Se dice gente allegra dio l’aiuta
a noi c’aiuta e voi sapè perchè
‘gni tanto na magnata e na bevuta
e tutto quanto er resto viè da se.

Non dovete abitare nella città eterna o nella città santa per mangiare da dio. Ecco una piccola ricetta che fa miracoli.

Gli ingredienti:

  • tanta fame
  • un po’ di tempo
  • quattro pomidori
  • dos juevos
  • uno spicchio d’aglio
  • un peperoncino
  • sale
  • qualche goccia d’olio
  • una cipolla (opzionale)
  • un peperone (opzionale)
  • una/ ragazza/o carina/o appena svegliata/o dagli odori della cucina e che t’aiuta a mangiare (opzionale ma consigliata/o)

La preparazione:

  1. Guarda fuori la finestra ad ammirare la bella giornata.
  2. Chiedi a te stesso/a: “Voglio mangiare qualcosa di buono senza fare troppo fatica. Che si fa?”
  3. Ascolta la voce interiore…. “sciaaaaaacsciuuuuuuuucaaaaaaaaa…
  4. Fai un sugo di pomodoro, peperoncino, aglio ecc. con pezzi grossi di pomodoro, controllando che non diventa troppo asciutto.
  5. Fai un buchetto nel sugo con un cucchiaio e riempilo con il primo uovo.
  6. Fai un altro buchetto nel sugo con un cucchiaio e riempilo con il secondo uovo.
  7. Lasciala cucinare sopra una fiamma bassa finché le uova non siano cotte alla tua soddisfazione.

La magnata:

  • Se possibile è consigliato mangiare direttamente dalla padella per non disturbare la sua forma artistica.
  • Lasciar posare la forchetta sul tavolo fra forchettate ti permette di godere di più l’odore, il sapore, la giornata e la compagnia.
  • La sciacsciuca può essere fatta come colazione, brunch o pranzo.
בתיאבון!

Fiumi

Mo che faccio il turista a Roma mi va di scrivere un
pochetto. Bello rivedere le mie piazze preferite, bello passeggiare lungo er Tevere. E stranamente là, attraversando il fiume sul ponte inglese mi è arrivata una bellissima sensazione, qualcosa di
festivo, di famiglia, ed ero trasportato nel passato a quando andavo con i miei a trovare la nonna. Ed ecco il legame – mia nonna abitava accanto a una ramificazione del fiume Chicago, un canale usato probabilmente come fognatura e scarico. L’odore non era organico ma fortemente salato, industriale e tossico. Esattamente come il Tevere la settimana scorsa.

Quanto strano è il genere homo sapiens, con un cervello che collega in modo così forte gli stimoli sensoriali con quelli emotivi, ricordandoli e legando le due cose per tutta la vita. Anche quando, come in questo caso, il contesto sensoriale è negativo, infatti tossico. Parlandone con un’amica, lei l’ha paragonato al radice di masochismo. Gadget di pelle e lattice sono una cosa però, e fiumi tossici sono un’altra!

Anche in Israele i fiumi sono inquinati, come Nàhal Sorèq ovest di Gerusalemme. Passeggiando fra alberi in fiore e uccelli di tanti tipi è difficile credere che è pericoloso bere l’acqua.

Sappiamo tutti che l’ambiente è inquinato ma spesso è solo un’informazione, qualcosa sulla quale pensare ed avere un opinione, senza necessariamente che percepiamo il pericolo e il danno al livello corporeo. Alla fine molti di noi siamo cresciuti così, non abbiamo nessun altro ricordo delle nostre città. Può essere che ormai siamo abituati come topi in uno sperimento psicobiologico? Se rendessimo conto del ambiente in modo diverso, forse ci comporteremo diversamente?

In questo preciso istante stiamo tutti respirando l’aria intorno a noi e con ogni probabilità l’ambiente sarà ancora più inquinato nel futuro, almeno nel breve- o medio- termine. Sarebbe un peccato non apprezzare adesso l’aria e l’acqua, perché comunque sono doni e ricchezze. E abbiamo ancora l’opportunità di trovare dei spazi verdi, perché non formare nuovi legami fra stimoli sensoriali ed emotivi, entrambi positivi? Può aiutarci a riconoscere un pericolo – emotivo o ambientale – e magari anche ad evitarlo o a migliorare la situazione.

E poi qualche foto della natura israeliana…